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Affiora dalla strada la cava dei misteri
Il sottosuolo di Palermo è vivo e pieno di sorprese. Giovedì scorso, nei pressi dell' incrocio tra via Autonomia Siciliana e via Ferdinando Ferri, si è aperta l' ultima voragine: un buco sul ciglio del marciapiede di quattro metri per uno e mezzo, di fronte al teatro Zappalà. E sotto, a nemmeno tre metri di profondità, il vuoto lasciato da una cava di tufo. «Prego, calcarenite» corregge l' avvocato Giorgio Bisagna, 40 anni, presidente regionale del Soccorso alpino e speleologico. Ieri mattina, su richiesta della protezione civile comunale, Bisagna assieme ad altri quattro operatori del Sass, sono scesi nell' ultimo squarcio che si è aperto nel ventre di Palermo. «è stato un sopralluogo finalizzato - spiega Bisagna - a verificare le condizioni statiche della zona, come richiesto dalla struttura tecnica della Protezione civile comunale». Per l' amministrazione, infatti, hanno partecipato all' ispezione sotterranea due funzionari, tra i quali l' architetto Franco Mereu. L' essenzialità dei dati numerici racconta della cava alta 1 metro e mezzo, per circa 30 metri quadrati di ampiezza, con detriti - tra i quali una bacinella di alluminio e un pneumatico - qualche fossile, e molte radici. «Era una cava per l' estrazione della calcarenite - dice Bisagna - come tante ce ne sono nel sottosuolo della città. Palermo, e specialmente quella zona che va dal piano dell' Ucciardone a Montepellegrino, è interessata dalle cave. Venivano scavate a più strati per trovare le vene giuste di materiale da estrarre con cui realizzare le costruzioni in superficie. A Palermo le cave sono state coltivate dall' epoca araba fino agli inizi del Novecento». Il sopralluogo di ieri mattina è durato un' ora circa. «Faceva molto caldo là sotto, e l' odore dell' umidità era coperto soltanto da quello delle lampade ad acetilene. Perché sottoterra la temperatura è pressoché costante - aggiunge l' avvocato - e quella cava di via Autonomia siciliana dev' essere stata utilizzata almeno fino alla fine dell' Ottocento: abbiamo infatti trovato nicchie per lampade a olio e chiodi sui muri che dovevano servire per appoggiarvi le lanterne. Quello scavo faceva parte di una serie di siti estrattivi che potevano anche essere collegati tra loro. Sì, le varie camere erano comunicanti con passaggi e tunnel, anche se molto è andato perso con l' espansione della città». Sui dettagli del sito, visto il tempo trascorso, aleggia il mistero: non è da escludere che in passato sia stata utilizzata anche come nascondiglio o come deposito clandestino. La cava nella zona della Fiera è quindi solo un esempio del ricco panorama ipogeo palermitano. «L' anno scorso - racconta ancora Bisagna - sotto una traversa di via Resuttana abbiamo visitato un rifugio bellico dell' ultima guerra mondiale, chiuso dopo il 1945. Anche in quella occasione ci chiamò la protezione civile comunale. C' erano stanze, loculi per dormire, bicchieri con stoppini, e il vetro che si sbriciolava tra le mani, a causa del tufo che è molto salino». Ma dov' è la cava sotterranea più grande di Palermo, fogne e moderni sottoservizi a parte? «Tra quelle che abbiamo visitato noi, è nei pressi della Palazzina cinese. Si tratta di una cava grande 300 metri quadrati, con soffitti alti fino a 12 metri, posta a 15 metri di profondità. Anche questa serviva a estrarre materiale edilizio. Ossia era una delle due grandi tipologie in cui si possono suddividere gli scavi nel sottosuolo di Palermo. L' altra sono gli acquedotti, che servivano ai rifornimenti idrici dalla montagna verso l' attuale centro storico». La diagnosi dello speleologo su via Autonomia siciliana è asciutta e rispettosa delle prerogative del Comune: «La cava visitata non presenta verosimilmente rischi che possono presentarsi nella zona - dice Bisagna - comunque sarà il Comune a decidere cosa fare. La si può mettere in sicurezza, riempirla e ricoprirla o semplicemente coprire il buco con dell' asfalto. Ma il problema è un altro». Ovvero? «A Palermo manca un monitoraggio sistematico del panorama ipogeo ai fini della sicurezza, perché non è mai stato descritto e censito l' insieme delle cave, anche se noi l' abbiamo chiesto molte volte. Senza ricevere però alcuna risposta». Eppure la mappatura servirebbe: «Non servono molti soldi per eseguirla, e sarebbe molto utile. Posto che le palazzine non si possono abbattere, ci sono aree dove sarebbe utile se non necessario consolidarne le fondamenta, mentre altre presentano rischi ancora più grandi. E poi, finalmente, sapremmo come è fatta al suo interno Palermo, nel sottosuolo». Per Bisagna «quella è una ricchezza che si sta perdendo. Il peso delle costruzioni ha già chiuso alcuni cunicoli, l' erosione prosegue la sua opera, le piogge sono crescenti. Noi del Soccorso alpino e speleologico siamo una struttura operativa nazionale di protezione civile. Non possiamo mantenere il silenzio sui rischi. Sarebbe un peccato mortale».
GABRIELE ISMAN
Fonte: Repubblica