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Amid, italiano da vent' anni ma non per lo Stato


Questa è la storia di Amid "l' italiano". Il nome completo, Abdelhamid Alaya, rivela che è nato altrove. In Tunisia. Ma Amid è italiano perché ha scelto di vivere qui. Non ci è capitato per caso e non è rimasto per quei curiosi intrecci che il destino degli emigrati disegna. No, Amid è venuto qui con le sue valigie, volendo essere italiano. Dopo 27 anni ha realizzato il suo sogno e messo radici profonde. Ha sei figli con due mogli diverse, ha 4 attività commerciali. Ha una buona posizione. Fattura e dà lavoro a tredici dipendenti. è nella ristorazione con un pub, una panineria, una pizzeria e un ristorante, cui corrispondono altrettante licenze. Quattro attività, tutte intorno a piazza Spinuzza, porzione di centro storico diroccato che a partire dalla scommessa di Amid ha preso a popolarsi. «Mie le prime luci, mio il primo verde qui intorno», rivendica con orgoglio rievocando gli inizi. Nonostante tutto, ogni volta che Amid decide di partire, l' Italia gli ricorda che è straniero e gli chiede il visto sul passaporto. Per due volte, senza un motivo, la pratica col suo nome è finita sepolta sotto una montagna di altre e per due volte dal ministero degli Interni gli hanno risposto no alla richiesta di cittadinanza.
La prima volta accadde negli anni Ottanta e lasciò correre. Del resto, con il permesso di soggiorno permanente in tasca, non avvertiva il peso di grosse limitazioni. Ma adesso, a quasi cinquant' anni, con la ruota della vita che gli ha regalato anche qualche soddisfazione, non nasconde che la faccenda e quel diniego abbiano un sapore più amaro. Per questo ha deciso di ricorrere al Tar. Ha dato mandato al proprio legale, l' avvocato Giorgio Bisagna, il paladino degli immigrati, di esplorare il come e il perché ad Amid sia preclusa la cittadinanza italiana. Vuole una ragione, un perché, vuol conoscere il motivo di quel no. «Non ho pendenze di alcun genere, ho il parere favorevole della Prefettura: insomma sono in regola, ho le licenze a nome mio, i contratti delle utenze, pago le tasse e mi sento italiano, ma per la burocrazia sono un cittadino di seri B, uno a cui chiedere il visto di ingresso per lasciarlo tornare a casa propria». E sì, perché Amid in Tunisia va solo per vacanza: «Non più di una volta all' anno per andare a trovare i parenti. La mia vita è qui, qui è il mio sangue e i miei sacrifici, proprio non mi va giù che mi considerino un estraneo». La storia di Amid non è diversa da quelle di chi arriva, dal Nordafrica come dall' estermo Oriente. Abbandonati gli studi decise di andare in cerca di fortuna al di là del Mediterraneo. Si lasciò alle spalle le luci del porto di Moknine per arrivare a Palermo su una nave di linea. Seguiva le orme di altri prima di lui. E aveva in testa un progetto preciso: un lavoro per cominciare ma l' obiettivo di mettere da parte il necessario ad aprire un locale tutto suo. Prima lavapiatti, poi aiuto, quindi chef. Infine, dieci anni fa, il grande salto con l' offerta a un ristoratore italiano che stentava a riprendersi dall' investimento. Amid puntò tutti i risparmi e cominciò. Vennero poi i progetti di rifacimento della piazza, i lunghi lavori per il parcheggio e altri, oggi sono una quarantina, che dietro di lui hanno scommesso su pub e vinerie. «Ho soltanto realizzato il mio progetto di vita, sono soddisfatto e credo di avere tutto il diritto di dirmi italiano. Accade invece che sono straniero nel mio Paese d' origine e qui dove sono cresciuto, dove ho vissuto buona parte della mia vita e dove mi sono realizzato». Per Amid non è solo questione di documenti. Ma è soprattutto questione di orgoglio. «A me piace l' Italia, l' ho scelta e credo di averle dato quel che un buon cittadino deve dare al proprio Paese. Ho rispettato le regole e le leggi, assicurandomi un futuro e assicurandolo ai miei figli, trovo ingiusto che mi trattino così. Io non ho dato nulla alla Tunisia e ovviamente non ho ricevuto nulla. Sono partito che ero un ragazzo, tutto quello che sono è frutto del lavoro che ho fatto qui. Vivo da italiano, sono un italiano. Per tutti, per i tanti amici e clienti che conosco e col quale sono diventato amico. Per tutti ma non per la burocrazia. Hanno tutto, non manca nulla, hanno tutte le carte a posto ma io resto uno che ha solo obblighi e nessun diritto. Senza un motivo. Parlano di integrazione? Eccomi. Eppure rimango uno straniero a casa mia». Enrico bellavia
 
Fonte: Repubblica

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