A distanza di 5 anni sono 200 le murshidat diplomate in Marocco: chi sono queste donne e cosa rappresentano oggi?
Negli ultimi anni, sempre più Paesi del mondo islamico hanno deciso di puntare sulla formazione delle donne per cercare di contenere il fenomeno dell'estremismo religioso: dal Marocco all'Arabia Saudita fino alla Turchia. Recentemente anche l'Egitto ha deciso di avvalersi di donne predicatrici, istituendo un corso di quattro anni presso al-Azhar, la più importante università islamica del Paese. Per la prima volta, alcune donne sono state assegnate ad oltre novanta moschee nelle aree più povere del Cairo, Giza e Alessandria. Questa nuova figura professionale prende il nome di murshida in arabo, predicatrice, e ha suscitato molta curiosità e interesse nel mondo occidentale.
L'idea arriva dal Marocco, dove il primo corso di formazione iniziò nel 2005. Attualmente sono duecento le murshidat diplomate in tutto il Paese. Ma chi sono queste donne che decidono di dedicarsi a questa nuova professione? Quale ruolo svolgono oggi all'interno della società marocchina?
Per fare un bilancio di questa riforma a distanza di cinque anni, ci siamo rivolti alla dottoressa Sara Borrillo. Ricercatrice in Marocco da diversi anni su questa tematica, durante la sua esperienza ha avuto modo di intervistare circa trenta murshidat e addentrarsi in questa nuova dimensione femminile, a quanto pare più conosciuta in Occidente che nello stesso Marocco.
Chi sono le donne che decidono di intraprendere questa carriera?
Per accedere al corso di formazione è richiesta una laurea ed è necessario conoscere a memoria metà del Corano. Stiamo parlando quindi di donne istruite. Superato il concorso, segue un anno di formazione per poi ricevere un diploma dal ministero degli Affari Islamici marocchino. A questo punto, le diplomate possono lavorare nelle sedi locali del ministero stesso o, soprattutto, in moschea per predicare l'Islam. Alcune murschidat hanno lavorato in precedenza come insegnanti, mentre la maggior parte è alla prima esperienza lavorativa. Durante la mia ricerca, ho scoperto che la stragrande maggioranza decide di dedicarsi a questa professione spinta da una vocazione: spiegare il Corano a chi non è capace di leggerlo. Molti dei corsi che le murshidat tengono avvengono nelle zone più periferiche delle città, da un lato le più sensibili all'estremismo religioso e dall'altro, le più colpite dal fenomeno dell'analfabetismo. In queste aree sono soprattutto le donne a non saper leggere né scrivere. E chi non conosce l'arabo classico, non può avere un accesso diretto al libro sacro.
Possiamo soprannominare le murshidat "imam-donne"?
Chiamarle imam è in realtà improprio. Quando si sente parlare di donne che predicano in moschea si tende a collegarle direttamente alla figura dell'imam. Il loro ruolo è però profondamente diverso da quello degli uomini: le murshidat non conducono la preghiera del venerdì, né tengono la khutba, il "sermone". La loro è una funzione di predicatrici. Più che imam sono delle docenti. Tengono corsi organizzati dal ministero degli Affari Islamici su varie tematiche. Ad esempio, spiegano il Corano leggendo le sure, analizzandole e adattandole a casi di vita quotidiana. Possono spiegare il fiq (il diritto musulmano), la salmodia o la sharia. Il loro è un pubblico tutto al femminile.
Quindi nemmeno loro stesse si considerano imam?
Assolutamente no. E nemmeno chi organizza i corsi di formazione le considera tali o ritiene che possano diventarlo. La distinzione è ben chiara dal momento che l'imamato per le donne è proibito dalla Sunna (la tradizione profetica). L'uomo resta la guida, la donna dà una mano.
Lei ha parlato di estremismo religioso. Questa riforma delle murshidat è stata istituita in Marocco dopo gli attentati di Casablanca del 2003. Quali altri fattori hanno contribuito?
Negli ultimi trent'anni, nel Paese è attivo un movimento femminista vivacissimo che spinge per l'affermazione e il riconoscimento dei diritti delle donne. Le femministe non hanno richiesto alla monarchia di promuovere la figura delle predicatrici dell'Islam, ma per estensione in un'epoca di cambiamenti e apertura ai diritti della donne, questa riforma viene fatta passare sotto la bandiera dell'uguaglianza di genere. Certamente gli attentati del 2003 hanno destabilizzato il potere e minato le basi della monarchia. Ma bisogna compiere un passo in più per collegare la riforma alla questione del terrorismo. I gruppi religiosi estremisti fanno da sempre propaganda anche grazie alle donne: attraverso incontri informali nei villaggi o nelle periferie delle grandi città, viene spiegato il Corano dandone diverse interpretazioni, ad esempio su quale sia il modello di famiglia secondo l'Islam. La riforma delle murshidat in Marocco punta quindi sul ruolo educativo della figura femminile per proporre un messaggio alternativo a quello estremista e conforme al messaggio islamico che legittima il potere monarchico. In quest'ottica ha un senso dire che la riforma è stata ideata anche per controllare i movimenti estremisti.
Secondo la sua esperienza, cosa pensa la società marocchina circa queste nuove figure femminili?
Non si tratta di una riforma molto pubblicizzata all'interno del Paese, spesso non si sa neanche chi siano le murshidat. Solo di recente il ministero degli Affari Islamici ha iniziato a promuovere alcune campagne di informazione. Allo stesso tempo è vero che le murshidat sanno di godere di un'ottima reputazione. Per partecipare al concorso di ammissione ai corsi di formazione bisogna dimostrare di avere una condotta morale impeccabile. I corsi tenuti dalle murshidat godono di una grandissima considerazione sia da parte delle donne che vi partecipano che dal vicinato. E' un lavoro molto stimato e ben considerato. Le stesse famiglie le incoraggiano ad intraprendere questo percorso.
Un'ultima domanda: siamo di fronte ad una rivoluzione per il mondo femminile marocchino?
Le predicatrici sono coscienti di essere delle pioniere di una nuova esperienza. Al ministero sono tutti fierissimi di questa riforma perché il Marocco è l'unico paese ad aver istituzionalizzato la figura della predicatrice. Da noi, in Occidente, questa riforma è stata accolta come una rivoluzione, attirando l'attenzione di molti giornali. Tuttavia queste donne sono più tradizionaliste che rivoluzionarie: sono impiegate statali di uno Stato centralizzato e monarchico. Allo stesso tempo, però, il fatto che una donna predichi in moschea è un passo in avanti, un progresso che apre spiragli interessanti per l'eguaglianza di genere in Marocco.
Laura Aletti