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Chiude il centro per immigrati


A sette mesi dal rogo del Serraino Vulpitta, con sei immigrati morti nell'inferno di quello che sulla carta non è un carcere, ma nella realtà non è neppure un albergo, la magistratura di Trapani decreta la chiusura della struttura. Lo fa rilevando l'assenza di norme antincendio e il mancato rispetto delle prescrizioni per garantire la sicurezza del centro per l'accoglienza degli immigrati clandestini. L'iniziativa del giudice Marina Ingoglia segue la presentazione di un dettagliato esposto dell'avvocato Giorgio Bisagna, per conto di un nutrito gruppo di responsabili di varie sigle riunite sotto il cartello del Coordinamento palermitano per la Pace. L'esposto segnalava l'assenza di certificato di idoneità per la struttura da parte dei vigili del fuoco alla vigilia del rogo del 29 dicembre. Gli esperti si pronunciarono solo sulla parte di struttura adibita a ospizio per anziani. In assenza di parametri di riferimento si sospese il giudizio su quali dovessero essere le dotazioni di sicurezza per la parte adibita a centro di trattenimento temporaneo. Soltanto nell'aprile scorso, si chiarì che i riferimenti normativi erano quelli delle strutture alberghiere. Nella realtà però al 29 di dicembre, all'interno del Serraino Vulpitta, già stipato di immigrati, secondo la ricostruzione del Coordinamento, «c'erano quattro estintori da quattro chili e l'intera ala era arredata con materiale infiammabile». La tragedia, è la tesi dei firmatari (tra cui padre Baldassare Meli, Pietro Milazzo, Fulvio Vassallo Paleologo, Gaetano Sole, Domenica Grillo, Laura Nocilla, Dino Frisullo e l'europarlamentare Giuseppe Di Lello) era largamente annunciata. L'esposto e l'inchiesta che ne è scaturita fino alla chiusura del centro tende a verificare se per il rogo vi siano delle altre responsabilità a parte quella dell'extracomunitario che ha patteggiato ammettendo di avere appiccato l'incendio. Sotto il controllo di prefetto e questore il centro era affidato per la logistica al Comune di Trapani. Da ieri, comunque, la struttura, in tutto uguale a una prigione con sbarre alle finestre e letti in ferro e una mole di restrizioni, è chiusa. I sessantaquattro ospiti sono stati trasferiti. Gli albanesi in Puglia, i nordafricani in Calabria.
 
Fonte: Repubblica

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