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Riflessioni sul caso


  

La vicenda dell’espulsione dall’Italia della signora Alma Shalabayeva  e della figlia di sei anni, ha suscitato il clamore mediatico, a seguito  delle legittime e doverose critiche nell’operato delle Forze di Polizie.

Tuttavia, appare opportuno, per potere emettere valutazioni e giudizi, cercare di comprendere quale sia il quadro normativo, internazionale ed italiano, di riferimento, per il caso concreto.

Con una premessa, ed un avvertimento doveroso: la normativa ed, in generale, il diritto dell’immigrazione è materia assai complessa, in continua evoluzione, spesso frutto di ratifiche di normative internazionali ed europee, talvolta di interpretazioni amministrative e giurisprudenziali, non di rado contraddittorie o di difficile applicazione.

La disciplina sullo Status di Rifugiato, a livello internazionale,  è regolamentata dalla Convenzione di Ginevra del 1951, recepita dal legislatore nazionale Italiano con la legge n.722 del 24 luglio 1954.

A livello nazionale, la disciplina organica delle procedure da adottare per i soggetti che versano nelle condizioni di chiedere ed ottenere asilo politico, si ricava, principalmente,  da alcune norme presenti nel D.L.vo 286/1998 , Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, da alcuni articoli “superstiti” ed integrati successivamente, della Legge 39 del 28 Febbraio 1990 ( la c.d. legge Martelli), e soprattutto, dal Decreto Legislativo 251/2007 Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta ( c.d. Decreto Qualifiche) e dal Decreto Legislativo 25/2008 Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato ( c.d. Decreto Procedure ).

Il già citato testo unico dell’immigrazione, prevede poi le procedure ed i presupposti per emettere i provvedimenti di espulsione dal territorio dello stato, il trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione, nonché l’accompagnamento coattivo alla frontiera.

Non sappiamo bene cosa è accaduto nel caso concreto, ma possiamo ricostruire, dal punto di vista strettamente giuridico, cosa sarebbe dovuto accadere.

Dalle informazioni comparse sui media, sappiamo che la signora era presente in Italia, in maniera apparentemente “non legale” in quanto non provvista di un permesso di soggiorno valido per la permanenza in Italia.

Fattispecie che di per sé legittima l’espulsione dal territorio dello stato Italiano.

Né risulta che la signora, moglie di un noto dissidente, già riconosciuto titolare di status di rifugiato in Gran Bretagna, abbia formalizzato, al momento dell’ingresso in Italia, domanda di asilo politico nel nostro Paese, ove però, pare che abbia vissuto per oltre nove mesi.

Il governo Italiano, per converso, sapeva, e questo pare ormai incontrovertibile, che la signora Shalabayeva e la figlia di sei anni, fossero congiunti stretti di un rifugiato politico, ancorchè riconosciuto tale in un altro stato.

E’ accaduto, però che, almeno stando a quanto sin qui appreso, che la signora sia stata colpita da un decreto di espulsione dal territorio dello stato, in quanto illegalmente presente nel territorio dello stato, ( provvedimento emesso dal Prefetto territorialmente competente, e non dal Questore), poi trattenuta in un Centro di Identificazione ed Espulsione, e successivamente rimpatriata con un jet noleggiato ad hoc.

In queste fasi, la signora dovrebbe avere avuto la possibilità:

1.       Di proporre ricorso al Giudice di Pace avverso l’espulsione, anche se tale impugnativa non sospende l’efficacia dell’espulsione

2.       Di esporre la propria posizione, assistita da un avvocato di fiducia, innanzi ad un Giudice di Pace, nella fase della convalida del trattenimento nel Centro di identificazione ed espulsione, ( da effettuarsi entro 48 ore dall’invio della richiesta di trattenimento).

3.       Di essere sottoposta ad una convalida, sempre in contraddittorio, e con l’assistenza di un difensore di fiducia, dinanzi al Giudice di Pace, per l’accompagnamento coattivo.

In ogni caso, la signora avrebbe dovuto,  dal momento del suo trattenimento, essere stata messa in condizione di potere esercitare, ai sensi della normativa sopra citata, la possibilità di formulare richiesta di asilo.

Noi non sappiamo se:

1.       L’espulsione sia stata tempestivamente impugnata.

2.       Se  le convalide siano avvenute, con l’assistenza di un difensore di fiducia e di un interprete

3.       Se la signora sia stata messa in condizione di presentare domanda di asilo politico.

Stando a quello che riferisce oggi in un blog, almeno l’ultima delle condizioni non si è verificata:

Alla Shalabayeva è stato impedito di presentare tempestiva domanda di asilo, una volta colpita da trattenimento.

Eppure la signora è rimasta in un Centro di Identificazione ed Espulsione per almeno due giorni, tempo sufficiente a formulare tale istanza, e comunque l’avrebbe potuta verbalizzare in fase di convalida del trattenimento, ove assistita, oltre che da un difensore, da un interprete capace di tradurre correttamente…

Qualora avesse formalizzato, in qualunque maniera, non essendo previste formule sacrali, la domanda di asilo politico, l’autorità di polizia avrebbe dovuto, senza indugio, acquisirla e trasmetterla all’autorità competente per l’esame, la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, e nelle more della decisione, la signora sarebbe potuta rimanere legalmente in Italia.

Ma c’è di più, anche qualora la signora non avesse esplicitamente formulato domanda di asilo, le Autorità procedenti avrebbero dovuto/potuto applicare l’art.19 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione, il quale testualmente recita . “ In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere inviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”.

Fermo restando, che, ormai appare indiscutibile l'illegittimità dell'operato delle forze di Polizia,  è stranamente rimasto fuori dai riflettori mediatici, l'operato dei Magistrati, chiamati ad interloquire sulla vicenda.

In primo luogo il Giudice di Pace della convalida, che, stando a quanto avrebbe dichiarato la signora, non avrebbe consentito di verbalizzare la domanda di asilo, ed avrebbe così sbrigativamente consentito il rimpatrio coattivo della stessa, pur in pendenza di una evidente condizione di inespellibilità prevista dall'art.19 del Testo Unico sull'immigrazione.

E qualche interrogativo sul ruolo del Tribunale dei Minori e della relativa Procura, sorge spontaneo, considerate le modalità abbastanza “crude” della “rendition”, in presenza di una bambina di sei anni, anche in considerazione che, lo stesso Testo Unico impone che  l’espulsione dei minori sia adottata, e non meramente autorizzata, dal Tribunale dei Minorenni, su richiesta del Questore, e comunque che l’esecuzione avvenga con “modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate”.

Anche qua, stando a quello che sembrerebbe essere accaduto, dall’irruzione notturno di uomini armati, allo “sballottolamento” della piccola da un affidatario all’altro, il “superiore interesse del fanciullo” previsto da una Convenzione Internazionale, quella di New York sui Diritti del Fanciullo, del 20 novembre 1989 e pure ratificata dall’Italia, pare che sia stata “temporaneamente accantonata”.

Insomma la vicenda desta molti inquietanti interrogativi, ma non suscita particolari meraviglie, perché, in assenza di una attività difensiva attenta, magari supportata dai media, tanti anonimi richiedenti asilo, con bambini al seguito, sono stati espatriati, respinti, accompagnati coattivamente nei paesi di provenienza, con il rischio ben  più serio di vita, proprio perché anonimi, ed ignorati da tutti.

L’auspicio è quindi che questo caso, singolarmente ignorato dai media peraltro durante le fasi cruciali, possa sensibilizzare l’opinione pubblica sui tanti, troppi casi, che si concludono nel silenzio…soffocante.

 

  


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